"Perché amo il legno? È la nostra memoria"

Kengo Kuma: mi piacerebbe costruire un ponte a Venezia.
Veronica Tuzii, Corriere del Veneto, Ottobre 4, 2023

A PALAZZO FRANCHETTI UNA MOSTRA DEDICATA ALL'ARCHITETTO GIAPPONESE. "MI PIACE SCARPA"

 
Kengo Kuma è a Venezia a Palazzo Franchetti con la mostra «Onomatopoeia Architecture», curata da Chizuko Kawarada e Roberta Perazzini Calarota. fino al 26 novembre, negli ambienti del tardoquattrocentesco edificio sul Canal Grande, sede di ACP, la prima retrospettiva italiana dedicata all’archistar giapponese espone 22 maquette e due installazioni site specific. 
Nato a Kanagawa nel 1954, dopo la laurea all’Università di Tokyo, Kuma trascorre un paio d’anni alla Columbia Unversity come visiting researcher. Nel 1987 fonda a Tokyo il suo atelier Spatial Design Studio (ora Kengo Kuma & Associates), a cui seguirà nel 2008 lo studio di Parigi. Il pluripremiato Kuma ha progettato opere architettoniche in oltre 30 paesi.
 
Lo studio del luogo per progetti a misura d’uomo a integrarsi con l’ambiente circostante, la ricerca sui materiali per sostituire il cemento e l’acciaio disegnando un nuovo approccio all’architettura in una società postindustriale, l’uso della luce per aggiungere un senso di «immaterialità spaziale». 
Riconosciuto come uno dei maestri dell’architettura contestuale, Kengo Kuma è protagonista a Palazzo Franchetti a Venezia della mostra «Onomatopoeia Architecture», curata da Chizuko Kawarada e Roberta Perazzini Calarota. A quasi trent’anni dalla partecipazione alla 46. Biennale d’arte, punto di partenza della carriera internazionale del pluripremiato architetto, fino al 26 novembre, negli ambienti del tardoquattrocentesco edificio sul Canal Grande, sede di ACP, la prima retrospettiva italiana dedicata all’archistar giapponese -inserito dal «Time» nella lista delle 100 presone più influenti del 2021- espone 22 maquette e due installazioni site specific ispirate alla città lagunare.
 
Partiamo dal titolo della mostra: perché ha scelto di ricorrere alla figura retorica che riproduce nel linguaggio attraverso un gioco fonetico i suoni naturali e i rumori reali?
«È la prima volta che costruisco una mostra con le onomatopee, diciamo che è un nuovo format per proporre un’antologia dei miei lavori e del mio pensiero architettonico. Le onomatopee per spiegare le atmosfere che poi portano a creare le forme delle mie architetture. È importante partire dalle atmosfere perché se si parte direttamente dalle forme c’è il rischio di ripetere sé stessi. Certamente la forma è il messaggio forte che arriva, ma all’origine della mia visione architettonica c’è il rapporto tra l’uomo e lo spazio, le impressioni ambientali, le atmosfere appunto».
 
Salendo dallo scalone del Palazzo, il visitatore viene accolto dall’”Albero della Barca”, una scultura in legno, come il materiale che sorregge Venezia, nel giardino c’è “Laguna”, in lamiera d’alluminio, dalla forma mossa come fosse un’onda. Che rapporto ha con la città?
«Venezia per me è molto importante nel 1995 ho esposto al Padiglione del Giappone. È stato il primo progetto che ho presentato fuori dal mio paese. Era una Biennale d’Arte e non di Architettura, ma si trattava di un’installazione architettonica che avvolgeva il Padiglione. Le due opere citate sopra create per quest’esposizione nascono proprio da due forti impressioni di Venezia che ebbi nel 1995: le barche e la relazione con l’acqua».
Le piacerebbe costruire qualcosa a Venezia?
«Sì, un ponte. Perché i ponti in questa città sono molto iconici, da quello dell’Accademia a quello di Rialto. Probabilmente lo farei in legno o in pietra. Il Ponte di Calatrava è molto tecnologico, secondo me non è entrato in relazione con la città. Ma Venezia è unica e non è facile costruire qui adesso».
 
Dallo Yusuhara Wooden Bridge Museum Kochi, Giappone (2010), alle installazioni esposte ad Arte Sella (2018) e al recente Albert Kahn Museum, Boulogne Billancourt in Francia (2022), il legno è il suo materiale d’elezione.
«Il legno è differente dagli altri materiali perché ha un forte legame con la memoria dell’umanità, a partire dalle foreste. Lo unisco spesso al vetro e alla trasparenza, pensando alla luce che penetra tra le fronde degli alberi».
 
Lei è stato un anticipatore di quell’architettura sostenibile che ora è quasi una moda.
«Mi ricollego a quanto ho appena detto. Per me il riciclo è strettamente connesso con la memoria della materia, è un’opportunità per conservare il ricordo. I nuovi materiali non hanno memoria e quindi non hanno storia».
 
Lei ha firmato il nuovo Centro Congressi di Padova (2022) in cui ha utilizzato la tecnica giapponese dello spatial layer, ovvero della sovrapposizione di piani bidimensionali.
«Volevo restituire il concetto di stratificazione. Il modello ideale è stato il medievale Palazzo della Ragione, centro della città. I portici tipici della città veneta sono richiamati nella facciata grazie alla sequenza di colonne in legno».
 
Ha fatto della leggerezza la sua cifra stilistica e ha cercato di abolire il cemento. Il contrario di un altro maestro nipponico dell’architettura, Tadao Ando.
«Siamo sicuramente distanti, ma non del tutto. Ad unirci le radici nipponiche e quello che implicano. Mi piace il minimalismo di Ando, rispetto il suo lavoro, perché lui “rispetta” il materiale cemento».
 
Che tipo di architettura degli altri le piace?
«Mi piace l’architettura e il design italiano perché unisce l’Homo Faber, l’artigianato. Mi piacciono Gio Ponti e Angelo Mangiarotti. Amo molto il veneziano Carlo Scarpa, lo sento vicino e i dettagli degli edifici disegnati da lui sono incredibili esperienze: vorrei averli fatti io».